01/03/17

Il Reiki e la relazione di cura

E' un pò che ho questo post nei polpastrelli. Già, perchè se è vero che l'Energia Reiki va dove serve e quanta ne serve e chi realizza un trattamento ad un'altra persona (sia in modo amicale che professionale) è un "canale", questo non ci autorizza ad ignorare che una relazione si crea comunque. E quella relazione diviene (che lo si voglia o no, che se ne sia consapevoli o meno) una relazione d'aiuto. Con il Reiki sappiamo che di danni, tecnicamente, non se ne possono fare, visto che l'energia non è la nostra e che ha lo scopo di riequilibrare. Con tutto ciò che ruota attorno al trattamento in senso stretto, invece, di pasticci se ne possono fare eccome. Ecco quindi perchè la questione diventa delicata ed è così importante parlare di relazione d'aiuto quando si pratica Reiki ad altri.

L'obiettivo di questo post non è certo fare un corso accelerato on line sulla relazione di cura. Non entrerò quindi nello specifico. Ci sono percorsi formativi ad hoc per questo ed approfondimenti che il singolo reikista od operatore possono fare per operare al meglio. Qua mi preme sottolineare l'importanza di porsi la questione, farsi certe domande, avere certe attenzioni. Sensibilizzare, quindi, chi intende realizzare trattamenti Reiki ad altri esortandoli a proteggersi dal rischio di banalizzare la cosa perchè "tanto fa tutto il Reiki". 

Cominciamo con il dire che quando parliamo di relazione di cura non intendiamo solo riferirci al rapporto con persone necessariamente ammalate (ed in maniera grave). Anche se faccio un trattamento Reiki a mio marito che ha il mal di panza s'innesca in qualche modo una relazione di cura. Anzi potrebbero addirittura attivarsi dinamiche aggiuntive in quanto sussiste una relazione pre-esistente al Reiki con tutti i suoi delicati equilibri.

Dal momento in cui qualcuno mi chiede "ma che cos'è il Reiki" a quello nel quale saluto la persona a cui ho appena fatto un trattamento (ma anche ben oltre) ci saranno tutta una serie elementi che andranno a comporre e definire la relazione d'aiuto che s'instaurerà. I miei comportamenti, le reazioni ai comportamenti dell'altro, moltissime micro e macro decisioni che mi troverò a prendere compreso tutto ciò che riguarda il setting stesso. Ogni mia azione (comprese le non-azioni) rappresenterà una comunicazione più o meno esplicita indirizzata in modo diretto o indiretto verso la persona che riceve i miei trattamenti (e verso eventuali osservatori o persone che possono essere coinvolte nel passaparola). Comunicazione/comportamento che produrrà necessariamente delle conseguenze. Tutte le mie mosse direttamente connesse al Reiki ma anche "di contorno" innescheranno nell'altro disagio/benessere all'interno di un continuum pieno di sfumature possibili. Diranno all'altro (ed a me stesso) cos'è il Reiki per me, cosa vuol dire per me essere un reikista o un operatore professionale, come intendo la relazione di cura e chi è per me l'altro. Non parliamo poi di tutto il capitolo del fare trattamenti Reiki a chi non li ha esplicitamente richiesti che innesca ulteriori dinamiche.

E' proprio la consapevolezza di tutti gli innumerevoli aspetti delicati che circondano i trattamenti Reiki che mi ha spinta, nonostante io avessi già una formazione di base psicologica (sono Psicologa del Lavoro dal 1992), a frequentare uno specifico percorso formativo organizzato dalla Scuola ilReiki: "Curare la relazione" e gestito dal bravissimo Filippo Laurenti. Nel mio caso la decisione di approfondire la relazione di cura è arrivata poco dopo quella di iniziare ad operare come professionista Reiki, ma volutamente il percorso formativo della Scuola ilReiki è aperto anche a reikisti che non sono interessati a fare gli operatori di professione ed a non-reikisti. La necessità di frequentare questo percorso era tale che, nonostante il corso sia itinerante ed organizzato in diverse città italiane, pur di iniziare quanto prima, me ne sono andata fino a Torino.
I punti di forza di questo percorso formativo a mio parere sono:
  • L'esclusione degli aspetti prettamente tecnici connessi ai trattamenti Reiki. Anche se la fame di tecnica Reiki e di confronto tra operatori (attuali e potenziali) rispetto ad essa è molto forte, essa passa in secondo piano rispetto all'importanza di lavorare su se stessi, sulla propria identità professionale, su ciò che per noi è la relazione di cura. Perchè è da quello che tutto il resto discende ed è profondamente influenzato. 
  • Il target dei partecipanti misto. Ho trovato molto utile mischiare partecipanti che non svolgono ancora (magari potrebbero anche non farlo mai) attività strutturata di trattamenti reiki, chi già lo fa o lo vuole fare, i non-reikisti (che ci aiutano moltissimo a non dare per scontate un sacco di cose).
  • Il facilitatore del corso non-reikista. Il vantaggio è sia per lui che così è meno tentato di invischiarsi in aspetti tecnici che per i partecipanti che, sapendolo, lo utilizzano per quello che può dare realmente (la facilitazione del corso e la sua esperienza nella relazione di cura in generale).
  • La parte delle supervisioni individuali e di gruppo. C'è infatti la possibilità di frequentare sia il corso di formazione in gruppo (2 giorni) ma aggiungere anche, senza che sia obbligatorio, una serie di supervisioni individuali e di gruppo nell'arco di 1 anno. Il lavoro su di sè partendo da situazioni e casi reali che via via si presentano da un lato e sui tasti "caldi" che ognuno di noi ha, è davvero impagabile. Consiglio vivamente di non saltare questa parte che tra l'altro può essere efficacemente gestita via skype. Io personalmente l'ho trovata talmente utile da sentire la necessità di proseguire oltre il numero di sessioni previste (12).
Conclusioni
Insomma, "la strada per l'Inferno è lastricata di buone intenzioni" per cui, anche se non siamo operatori professionisti (in quel caso a maggior ragione), prima, durante e dopo aver messo le mani su qualcuno, accendiamo il cervello, ascoltiamo il cuore e muoviamoci di conseguenza in modo consapevole e versatile. Senza mancare di essere clementi con noi stessi ovviamente. Perchè in ogni caso esseri umani siamo, stiamo facendo del nostro meglio e se riusciamo a farlo almeno in consapevolezza, è già tantissimo......